Muggia & la storia del novecento

Con il trattato di Campoformido (1797) e lo smembramento della Repubblica veneta venne reciso quel legame che per quasi quattro secoli aveva unito Muggia a Venezia e alle altre città dell’Istria veneta. Da quel momento e fino al 1918 il destino di Muggia fu con Trieste, all’interno dell’impero austroungarico. Molte le tracce visibili oggi del periodo veneziano, a partire dall’impianto urbanistico all’intero delle mura, rimasto sostanzialmente originario e prezioso proprio per gli elementi gotico-veneti che lo caratterizzano. Molte meno presenti ma non irrilevanti le tracce del periodo austroungarico, da ricercare nelle frazioni periferiche nel corso di camminate ed escursioni.


Tracce austroungariche

Villa del principe
Villa del principe

A Muggia fu di casa per molti lustri l’arciduca Lodovico Salvatore, figlio di Leopoldo II di Asburgo Lorena e cugino dell’imperatore Francesco Giuseppe. Nato a Firenze nel 1847, fu socio dell’Accademia imperiale delle scienze di Vienna e di quella di Praga. Passò gran parte della vita ritirato e consacrato a viaggi e studi scientifici, in particolar modo di oceanografia, e si può dire che le sue dimore favorite furono i panfili Nixe I e Nixe II, che sostituì il primo colato a picco. Altre dimore, stavolta sulla terraferma, furono il Castello di Miramar in Palma sull’isola di Maiorca e la tenuta muggesana, acquistata nel 1876, detta “Villa del principe”. Collocata in località Zindis, è stata recentemente restaurata da privati. Di essa rimangono oggi anche le vestigia di alcune pertinenze: la casa del custode, frutto del riadattamento di una delle piazzeforti del sistema difensivo costiero, poi trasformata in ristorante e ora anch’essa abitazione civile, la cisterna della sorgente, e la casa dell’amante mulatta.

Altre evidenze del periodo austroungarico sono i resti dei forti militari, che facevano parte della linea trincerata fatta edificare dalle autorità militari in prospettiva di una guerra contro l’Italia. La linea delle fortificazioni seguiva la costa da Sistiana a Trieste, e proseguiva quindi a Muggia e a tutto il litorale istriano. Nel territorio muggesano i forti austroungarici erano quattro. Il più elevato, la batteria fortificata di San Michele in località Santa Barbara/Elleri, di cui rimangono parti murarie notevoli, si trova a cavallo dell’attuale confine ital-sloveno. Quindi, a difesa del Cantiere di San Rocco, a lungo nella seconda metà dell’Ottocento arsenale della marina da guerra: la “Batteria num. 1”, in Strada della Fortezza, di cui rimane l’edificio principale inserito tra abitazioni moderne e la “Batteria num. 2”, a Zindis, come detto ex casa del custode della Villa del Principe. Infine, il più rilevante, il Forte Olmi, a monte dell’omonima Punta, costruito tra il 1858 e il 1864. Cinto da un fossato, vi si accedeva da un ponte levatoio di cui rimangono i pilastri insieme ad alcune altre vestigia, tra cui la polveriera.


Architettura e urbanistica fascista

Dipensario antitubercolare
Dipensario antitubercolare

Anche a Muggia, che non poté evidentemente essere interessata, come Trieste, da massicci interventi di architettura e urbanistica, non mancano tracce lasciate dal ventennio fascista. Di un certo interesse il dispensario antitubercolare, uno dei circa cento costruiti nel territorio nazionale a partire dalla fine degli anni Venti. Ispirato ad un sobrio razionalismo architettonico e sostanzialmente preservato seppure da anni in stato di abbandono, si trova in Piazzale Curiel vicino alla stazione degli autobus.

Più ambizioso e rilevante il villaggio operaio di Aquilinia, progettato per alloggiare parte di lavoratori, e famiglie, della gigantesca raffineria Aquila, che dal 1937 alla metà degli anni Ottanta fu uno dei pilastri dell’economia giuliana. In quanto “battezzata” da Mussolini il 18 settembre 1938 – nella stessa giornata in cui annunciò le scellerate leggi razziali nel discorso di Piazza Unità a Trieste – Aquilinia si trova a volte inserita nell’elenco delle città di fondazione del duce. Essa fu, più modestamente, una company town, che non ebbe mai lo sviluppo che avrebbe dovuto avere (una quarantina di edifici, asilo infantile, spaccio e, al centro della piazza, casa del fascio) limitandosi a 8 case “tipo operaio” da 4 appartamenti e 2 “tipo operaio” da 2 appartamenti.


Muggia medaglia d’argento al Valore Militare

Monumento caduti
Monumento caduti

Ecco di seguito parte delle motivazioni con le quali, nel 1986, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ha insignito il Comune di Muggia della Medaglia d’argento al valore militare per attività partigiana:

“Città di radicate tradizioni democratiche Muggia diveniva, subito dopo l’8 settembre 1943, uno dei principali centri della lotta partigiana contro l’invasore nazista nella regione. Dalle file operaie del suo cantiere navale, da nuclei di pescatori, di studenti, di piccoli coltivatori del suo retroterra, uscivano centinaia di volontari accorsi a formare le prime unità partigiane e i primi GAP della regione. […]

Gli arresti, le deportazioni, l’uccisione di molti dirigenti e combattenti tra i più capaci e valorosi, non spezzavano la volontà di libertà e di riscatto della popolazione e dei suoi partigiani, mentre altri cittadini di Muggia combattevano nei Balcani ed altrove. Nell’aprile-maggio 1945 Muggia concludeva venti mesi di lotta durissima con le giornate dell’insurrezione, salvando il suo cantiere dalla distruzione nemica.”

Muto testimone del sacrificio di decine e decine di giovani muggesani è il campo dedicato alla Resistenza nel cimitero cittadino: un ricordo scarno e pregnante che restituisce oltre duecento vicende attraverso le lapidi tombali in pietra del Carso, simili a quelle del Parco della Rimembranza di Trieste, e la grande lapide del Comune di Muggia che riporta i nomi dei caduti. Altre evidenze dei caduti della Resistenza sono rinvenibili nelle due lapidi collocate nel parcheggio del cantiere Alto Adriatico e nei monumenti di Santa Barbara e di Largo Caduti per la libertà.


Una città divisa in due

Confine di San Bartolomeo
Confine di San Bartolomeo

Il 5 ottobre del 1954 avvenne la sottoscrizione del Memorandum di Londra tra i governi di Italia, Stati Uniti d’America, Regno Unito e Jugoslavia, che determinò il passaggio della Zona A del Territorio Libero di Trieste dall’amministrazione militare alleata all’amministrazione civile italiana e il passaggio della Zona B dall’amministrazione militare jugoslava all’amministrazione civile jugoslava. L’accordo ebbe tra le clausole anche una rettifica confinaria ai danni del Comune di Muggia: a passare alla Jugoslavia furono i borghi di Milocchi, San Giorgio, Barisoni, Laurano, Colombano, Santa Brigida, Crevatini, Norbedi, Sonici, Busari, Braghetti, Bosici, Faiti, Elleri, Scoffie (Albaro Vescovà) di Sotto, Plavia e Banizza, mentre l’abitato di Cerei venne diviso a metà.

Muggia perse circa 11 chilometri quadrati e poco più di 3.500 abitanti, il 28% della popolazione totale, i quali però, nella stragrande maggioranza decisero di trasferirsi in Italia abbandonando tutti i loro averi. E così, nelle stesse ore in cui a Trieste una folla oceanica festeggiava la restituzione della città all’Italia, Muggia assisteva al mesto corteo dei suoi esuli, accolti nelle abitazioni e soffitte e cantine di parenti e amici, oppure in strutture d’emergenza allestite dalle autorità: il Cantiere Martinuzzi in disuso, la caserma dei Vigili del Fuoco e la Villa Bernina.

Campo profughi delle Noghere

Rio Ospo e campo profughi delle Noghere - Anni 70 Fondo fotografico della Biblioteca Comunale “Edoardo Guglia” di Muggia
Rio Ospo e campo profughi delle Noghere – Anni 70
Fondo fotografico della Biblioteca Comunale “Edoardo Guglia” di Muggia

Nella primavera del 1956, venne allestito il Campo profughi delle Noghere, che rimase in funzione fino alla metà degli anni Settanta. Il campo delle Noghere, per il quale passarono migliaia di persone, era simbolicamente diviso in due: da una parte le famiglie dei muggesani, i cui capifamiglia avevano mantenuto i lavori di operai ed erano fieramente comunisti, dall’altra le famiglie degli istriani, esuli delle città vicine come Isola e Capodistria, che erano altrettanto fieramente democristiani. Un mondo di divisioni, dunque, ma anche di condivisioni di quella vita difficile e a tratti cruda, ma eticamente e profondamente sociale, conviviale e genuina.

Piccolo esodo muggesano

Di quegli eventi, in forza dei quali Muggia venne riconnessa, seppure fortunatamente in modo solo parziale ma non meno doloroso, al destino delle altre città istriane passate alla Jugoslavia, rimangono tracce macroscopiche nell’urbanistica. Prima di tutto il villaggio di Borgo San Cristoforo, che sovrasta l’attuale Lungomare Venezia, edificato per alloggiare i pescatori esuli soprattutto da Isola e Capodistria e le loro famiglie. Quindi il villaggio di Zindis, edificato per i muggesani dei territori ceduti dal Memorandum di Londra del 1954. E ad evocare simbolicamente l’esodo degli istriani fiumano dalmati il monumento posizionato nella rotatoria tra la strada statale 15 “via Flavia” e la provinciale 15 “via delle Noghere”, nel punto dove passava chi, proveniente dal posto di confine di Rabuiese/Scoffie, aveva appena lasciato tutto per una nuova vita. Un monumento che suggerisce il rapporto tra passato, presente e futuro avvalendosi dell’elemento volumetrico dei carri, cui le genti esodate affidavano le loro cose e i loro cari, raffigurati con il procedimento della sineddoche attraverso cinque ruote che si disperdono da un centro verso la periferia.


Il sentiero dei graniciari – Ivan Jug

Il sentiero dei graniciari
Il sentiero dei graniciari

Una suggestiva esperienza, in grado di evocare le divisioni della guerra fredda è il sentiero Ivan Jug, o dei Graničari, che permetteva alle guardie jugoslave – i Graniciari, per l’appunto – di pattugliare la linea del confine. Il sentiero inizia nei pressi di Rabuiese per inerpicarsi fino alla cima del Monte Castellier e attraversare poi le cave di arenaria di Premanzano. Quindi si dirige a Cerei nei cui pressi si incontrano i graffiti delle guardie e la caverna della seconda guerra mondiale. Risale poi il rio Pisciolon fino a San Colombano, dove si raggiunge il romitorio medievale per i pellegrini diretti in Terra Santa, il bosco con il sentiero didattico Josef Ressel e scende infine nel parco naturalistico di Punta Grossa con le sue falesie. Un sentiero che oggi si può percorrere in modo spensierato dandosi pensiero solo dei panorami e delle bellezze naturali che si incontrano, ma che un tempo veniva attraversato da fuggitivi che cercavano scampo oltre cortina e che non di rado incappavano negli spari dei graniciari.

Percorsi nella storia del novecento