Confine di San Bartolomeo
Confine di San Bartolomeo

Il 5 ottobre del 1954 avvenne la sottoscrizione del Memorandum di Londra tra i governi di Italia, Stati Uniti d’America, Regno Unito e Jugoslavia, che determinò il passaggio della Zona A del Territorio Libero di Trieste dall’amministrazione militare alleata all’amministrazione civile italiana e il passaggio della Zona B dall’amministrazione militare jugoslava all’amministrazione civile jugoslava.

Il nuovo confine, geometrico e innaturale, partiva da Rabuiese, toccava i Monti Castellier e San Michele per chiudersi alla foce del torrente San Bartolomeo, non di rado dividendo in due proprietà, campi e vigne e persino abitazioni.

E così, mentre Trieste veniva interamente riconsegnata all’Italia Muggia, che già nel 1947 aveva perso una parte del suo territorio assegnato alla zona B, usciva quasi dimezzata.

A passare alla Jugoslavia furono i borghi di Milocchi, San Giorgio, Barisoni, Laurano, Colombano, Santa Brigida, Crevatini, Norbedi, Sonici, Busari, Braghetti, Bosici, Faiti, Elleri, Scoffie di Sotto (Albaro Vescovà), Plavia e Banizza, mentre l’abitato di Cerei venne diviso a metà.

Muggia perse circa 11 chilometri quadrati di territorio e poco meno del 30% della popolazione totale, circa 3.500 abitanti, che nella stragrande maggioranza decisero di trasferirsi in Italia abbandonando tutti i loro averi.

Confine di San Bartolomeo
Confine di San Bartolomeo

Eppure, nonostante le tragedie, le divisioni e i lutti della guerra e del lunghissimo dopoguerra, il confine italo – jugoslavo fu il più permeabile tra quelli che dividevano paesi collocati sui versanti opposti della “cortina di ferro”. Per ragioni economiche ed umane le persone continuarono quotidianamente a varcarlo: famiglie di esuli che si recavano a trovare i parenti rimasti talvolta per aiutarli ad attendere ai lavori agricoli e famiglie di rimasti che venivano a visitare i cari non di rado ospitati nei campi profughi; lavoratrici e lavoratori transfrontalieri che trovavano impieghi a Trieste; acquirenti jugoslavi che compravano prodotti di difficile reperimento se non introvabili come detersivi, saponi, zucchero, caffè, apparecchiature tecnologiche, abiti per cerimonie sacre e poi più tardi jeans e scarpe da tennis; acquirenti italiani che acquistavano prodotti a più buon mercato che nel mercato nazionale come carni, prodotti petroliferi, tabacchi; contrabbandieri che trafficavano in ambo i sensi nelle merci appena elencate.

Ma anche se, almeno in parte, il confine continuava ad unire, si era pur sempre negli anni della guerra fredda e non mancavano atti di spionaggio, tensioni tra i due paesi, sparatorie a danno di cittadini jugoslavi che non potendo espatriare alla luce del sole lo facevano clandestinamente cadendo vittime delle guardie confinarie, i terribili “graniciari”.

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