Muggia & la letteratura

Nel recente passato, Muggia è stata resa immortale in indimenticabili pagine di letteratura, come nelle Odi barbare (1873-89) di Giosuè Carducci (Valdicastello, 1835 – Bologna, 1907), il primo scrittore italiano a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1906. I suoi versi eterni così la ritraggono in Saluto italico: “Salutate nel golfo Giustinopoli, gemma de l’Istria, e il verde porto e il leon di Muggia; salutate il divin riso de l’Adria fin dove Pola i templi ostenta a Roma e a Cesare!”, e in Miramar: “Meste ne l’ombra de le nubi a’ golfi stanno guardando le città turrite, Muggia e Pirano ed Egida e Parenzo gemme del mare; e tutte il mare spinge le mugghianti collere a questo bastïon di scogli onde t’affacci a le due viste d’Adria, rocca d’Absburgo; […]”. Ma anche nel Novecento grandi scrittori italiani e stranieri ne hanno descritto le diverse caratteristiche e peculiarità, dalla sognante visione della Costiera muggesana che si sovrappone all’immagine della donna amata di Scipio Slataper, al reportage di Pier Paolo Pasolini lungo le coste italiane che termina proprio al confine di San Bartolomeo, da Giani Stuparich con i suoi nostalgici Ricordi istriani di Punta Sottile, a Vita col mare di Stelio Mattioni, enigmatico romanzo interamente ambientato nella città istroveneta, in particolare nel Mandracchio, che indaga l’eterna guerra fra la donna e il mare, da François-Régis Bastide con le sue suggestive descrizioni di Muggia Vecchia sotto la pioggia fino ai vividi ricordi d’infanzia di Vittorio Vidali (Muggia, 1900 – Trieste, 1983) nella sua autobiografia Comandante Carlos (1983): “Sono nato in un borgo là dove l’Adriatico termina a ferro di cavallo e dove più forte soffia la bora. Quando ricordo la mia infanzia mi sembra che il mare servisse a lavarmi, la bora a strigliarmi e il Carso, con il suo freddo biancore d’inverno e lucente di verde d’estate, a riempirmi gli occhi di fantasmi.


Costiera Muggesana – Il mio Carso

Costiera Muggesana
Costiera Muggesana

Il mio Carso è l’opera più importante di Scipio Slataper (Trieste, 1888 – Gorizia, 1915) e anche l’unico romanzo della sua breve carriera interrotta prematuramente dalla Grande Guerra. È un’autobiografia spirituale di tono accesamente lirico, che attesta il cammino compiuto dallo scrittore dall’esaltazione dell’io alla crisi provocata in lui dal dolore per il suicidio dell’amata Anna Pulitzer, che lo spinge a intuire la necessità di una legge morale più profonda per la propria vita. Il romanzo ha una sua originalità particolare sia nella pluralità di prospettive di genere che adotta (autobiografia, diario, saggio, racconto, romanzo, manifesto, apostrofe oratoria, etc…) sia nella molteplicità di modi che ne caratterizzano le pagine (dal lirico al tragico, dal visionario all’avventuroso, dal caricaturale al grottesco, dal comico al sentimentale) e che si accompagnano all’affermazione di volontà e intenti, all’enunciazione di programmi, alla riflessione etica, alla ricognizione e autoricognizione psicologica. A tutto ciò, poi, si aggiunge la suggestione di una prosa che si articola da punte di grande tensione, enfasi e turgore, a momenti di estrema secchezza ed essenzialità. La vicenda del romanzo è collocata fra Trieste, Firenze e il Carso, inteso anche nel senso più ampio di hinterland della città, serbatoio di energie inespresse, simbolo di un mondo ancora primordiale e ricco di potenzialità.
Penetro con le dita spalancate nell’acqua del mare, come tra i capelli morbidi e resistenti d’una donna; e m’arrovescio sulla superficie a riposarmi. Le piccole onde sbattono mormorando al mio orecchio, come il cuore della donna all’amante che riposa su di lei.
Allargo lo sguardo: e il mare s’increspa sotto il sole. La sua anima è quieta e serena, ed egli si stende sulla spiaggia soffice e si culla cantandosi piccole parole; e cerca con dita di bimbo le conchigline e i granchietti fra la ghiaiola della riva.
Mi riposo sul mare. Passano sul cielo bianche nuvole e migrano. Se sollevo un poco la testa vedo tremare gli ulivi di Muggia: nient’altro. Il riposo è grande e infinito.
Una barca apre lenta la vela, si sbanda leggermente, e esita. Poi va, raccogliendosi il poco vento. Io sono qui, portato dallo smuoversi lento dell’onde increspate.
E il mare mi porta lontano dove io non veda altro che mare e cielo, e tutto sia zitto e pace. Apro la bocca e fra i denti mi scorre l’acqua salsa, e il corpo si lascia calare lentamente nel mare.

S. Slataper, Il mio Carso, Firenze, Libreria della Voce, 1912


Confine di San Bartolomeo – La lunga strada di sabbia

Confine di San Bartolomeo
Confine di San Bartolomeo

Tra il giugno e l’agosto del 1959, Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975) percorre la costa italiana al volante di una Fiat 1100: da Ventimiglia alla Calabira e poi, spinto da una specie di “ossessione deliziosa”, fino al comune siciliano più meridionale, per risalire infine la costa orientale e arrivare a Trieste. Il suo diario di viaggio, commissionatogli dalla rivista Successo, uscirà in tre puntate fra luglio e settembre, e Pasolini, spiaggia dopo spiaggia, incontra amici intellettuali e personaggi noti, si lascia incantare dalla gente semplice dei paeselli più remoti e, portandosi in giro il suo entusiasmo per la scoperta, il suo sguardo emozionato e insieme acuto di futuro regista, annota scorci e impressioni tanto potenti da restituirci un quadro dell’Italia di allora: un’Italia in cui il boom economico, solo presagito, non riesce ancora ad avere la meglio sulla felicità del sogno pasoliniano d’innocenza.

Passo per Muggia, col suo porticciolo che riproduce in piccolo quello di Trieste, in triste quello di Grado. Altre secche, brevi spiagge colorate, oltre dure spallette.
Ed ecco Lazzaretto, l’ultima spiaggia italiana.
È incredibile: qui l’Italia ha un ultimo guizzo, è Italia come da centinaia di chilometri non la vedevo. […]
Oltre il confine non si vede più un’anima: il territorio jugoslavo pare disabitato. Non c’è più un bagnante, una casa. Non c’è più sole: e infatti, tra due tristi gobbe di colline, boscose, sta venendo su un temporale: una pesta nuvolaglia turchina. Non c’è ferragosto in Jugoslavia? Non c’è estate? […]
Sulle povere voci, sulla povera spiaggetta, il temporale getta un’ombra leggera, biancastra. Qui finisce l’Italia, finisce l’estate.

da P.P. Pasolini, La lunga strada di sabbia (1959), Roma, Contrasto, 2014


Punta Sottile – Ricordi istriani

Costiera muggesana
Costiera muggesana

Il libro di Giani Stuparich (Trieste, 1891 – Roma, 1961), pubblicato nell’anno della sua morte, comprende trenta “ricordi” che hanno il carattere del bozzetto, del racconto, della pagina memorialistica e autobiografica. Sono pagine che si riferiscono alla stagione della vita di Stuparich prima dello scoppio della prima guerra mondiale. Pagine serene e, insieme, dolorose: dove la felicità della memoria della vita giovanile, del rapporto con la famiglia, della scoperta della natura, dell’amore per la terra del padre, della vita col mare, dell’esplorazione della costa adriatica da Trieste all’Istria a Lussino, è come attraversata da un’increspatura di dolore: il ricordo degli anni successivi. Un libro che è anche una guida “sentimentale” attraverso le coste orientali dell’Adriatico settentrionale, le cittadine, le isole, il mare, il retroterra della campagna, gli ambienti, gli uomini, le attività produttive, gli usi e i costumi, la cucina, la lingua, i rapporti interpersonali. E attraverso il paesaggio, còlto nella sua ricchezza di sfumature e di inflessioni.

Tutta la vita di quelle lontane estati, libere e felici, con mille particolari e sfumature mi si ripresentava all’anima, mentre giravo malinconico per Punta Sottile a riconoscere i luoghi d’allora. […] Rivedevo quel posto nella sua meravigliosa selvatichezza d’un tempo, selvatichezza piena di vita, non contaminata ancora dalla città, dove la campagna si fondeva col mare e il canto delle cicale col rumore delle onde. E per quella strada, semplicemente battuta e qua e là sassosa, vedevo me stesso sulla mia bicicletta. Quante mattine avevo fatto quella strada fino a Muggia, andata e ritorno, con la posta e con la borsa della spesa! Nessun vaporetto, nessuna barca a motore approdava allora a Punta Sottile. Ma spesso col maestrale gagliardo del primo pomeriggio, mio padre apprestava il guzzo e la vela; ci staccavamo dal molo del Lazzaretto, attraversavamo l’aperto vallone di Muggia, oltrepassavamo le dighe, la Lanterna ed entravamo nella Sacchetta, il mandracchio di Trieste. La sera, dopo aver fatto le nostre commissioni, attendevamo in qualche caffè sulla riva, col bicchiere di birra davanti, che il vento di terra si alzasse e con quel vento fresco di levante ritornavamo di filata nella nostra Punta Sottile.

da Punta Sottile di G. Stuparich in Ricordi istriani, Trieste, Edizioni dello Zibaldone, 1961


Mandracchio – Vita col mare

Mandracchio
Mandracchio

Il romanzo di Stelio Mattioni (Trieste, 1921 – 1997), interamente ambientato a Muggia, è ricco di enigmi in cui il mare diventa oggetto della lotta misteriosa di una donna che contrasta la passione per esso di tre uomini, di una lotta per la scelta tra la libertà e la routine. Nel piccolo porto di Muggia, tre uomini, la cui vita è legata al mare, vengono attratti, per vie diverse e oscure, nella casa di Angelina, una donna che nulla ha in apparenza di fatale, ma che in realtà è una segreta nemica del mare, che tenta di togliere a questi uomini la loro vitale possibilità di fuga. Per liberarsi di lei, essi dovranno ricorrere, con precisione rituale, a tre sorprendenti sacrifici. Per il comandante Piero Frausin, protagonista del romanzo, questo sacrificio sarà mortale: egli è infatti il personaggio più esposto alle forze malefiche che circolano nel romanzo, sballottato com’è fra gli opposti poli inconsci della donna e del mare. Come negli altri suoi libri, Mattioni riesce a calare un tema mitico, pieno di risonanze, – in questo caso, l’eterna guerra fra la donna e il mare – in una realtà spoglia e anonima, illuminata però da un ricchissimo senso del grottesco, della mostruosità, del mistero, e ne emerge il motivo segreto che percorre tutta la sua opera e che qui raggiunge la sua forma paradigmatica: la libertà come fuga testarda dal quotidiano che tenta, perennemente, di far valere le sua vana vendetta.

Muggia a quei tempi era, come oggi, a malapena una cittadina, ma con una sua importanza che poi ha perduto. Situata in una piccola baia del golfo di Trieste, non aveva ancora rapporti con la città vicina – a dividerla erano i colli e gli acquitrini della Valle delle Noghere – e la sua vita era il mare. Tutta in riva al mare, col suo molo grande, il piccolo Mandracchio, l’edificio della Sanità e il Castello, presentava un grumo di casette ammonticchiate, intente a superarsi per non perdere di vista l’acqua, o almeno il suo odore. Perché, non appena cessava l’odore, la cittadina si estenuava, arrivava il silenzio, comparivano i folti cespugli di more, qualche albero isolato, dopo il quale si apriva la prima strada di campagna, quella che portava  a Pisciolòn. Al punto che perfino la pelle delle persone che s’incrontravano da quelle parti risultava più chiara e come levigata.

da S. Mattioni, Vita col mare, Milano, Adelphi, 1973


Muggia Vecchia – L’uomo dal desiderio d’amore lontano

Muggia Vecchia - Basilica di Santa Maria Assunta
Muggia Vecchia – Basilica di Santa Maria Assunta

Il romanzo di François-Régis Bastide (Biarritz, 1926 – Parigi, 1996), già ambasciatore in Danimarca e Austria, narra di un sessantenne diplomatico francese inviato da François Mitterrand a Mittelburg, capitale della Villanovia, piccolo Paese d’importanza fondamentale nel cuore d’Europa, minuscolo fazzoletto istriano sulle rive dell’Adriatico. Su questa contrada felice regna la giovane regina Ilma, nota per accettare solo le credenziali di ambasciatori rigorosamente celibi, tutt’al più vedovi. Qui aleggia ancora l’ombra di Rilke e Stendhal, dei loro malinconici amori incompiuti di cui resta traccia nelle lettere e nei diari. Anche tra la regina, bella e imprevedibile, arrogante e misteriosa, e l’anziano ambasciatore, “modesto inviato” della sua Repubblica, nasce l’amore, una passione esaltante e romantica, nutrita di musica e letteratura. E mentre si compiono i riti della politica e della diplomazia, in un succedersi di ricevimenti, eventi culturali, conferenze internazionali, i due s’incontrano segretamente dandosi rocamboleschi appuntamenti. Su uno sfondo grandioso, elegante e multiforme, l’ex rappresentante del Ministero degli Affari esteri tesse con leggerezza e ironia uno straordinario “ritratto d’ambasciatore” svelando al lettore i complicati, febbrili, frivoli e meno frivoli riti della diplomazia in un romanzo di grande fascino e forza narrativa.

Attraversammo Muggia in gran fretta. Intravidi appena due ristorantini di pesce e frutti di mare. Avevo scorto un albergo sulla strada. Ilma mi aveva fatto segno di no. Non doveva essere l’angolino giusto. Proseguimmo verso il mare. Andammo ancora più avanti. Lei vide il cartellone che annunciava i bungalow. Ci fermammo. Era chiuso da novembre ad aprile. […] Risalimmo verso la città, per ridiscendere verso il mare. All’improvviso, scorgemmo una freccia che indicava una basilica e un ristorante. C’erano tornanti in tutti i sensi. Poi, un posto di frontiera, a destra; e poliziotti incappucciati nelle loro garitte. Chi poteva pensare di passare di là per andare in Iugoslavia? Li evitammo, cercando la basilica. Finalmente trovammo il ristorante. Una grande sala calda, legno dappertutto. C’erano anche delle camere. Ne vistai due. Scelsi la più piccola, abbastanza confortevole e pulitissima. Il pavimento scricchiolava a ogni passo. […] Bisognava prendere un po’ d’aria. Ci bardammo e ci mettemmo gli stivali per salire alla basilica, che è un piccolissimo santuario romanico, di pietra bionda, un po’ tropo restaurato. Non si poteva entrare. Le porte erano chiuse. La pioggia grondava sul selciato muschioso, davanti al campaniletto. Ci riparammo sotto il portico. […] Ridemmo. Rimanemmo piuttosto a lungo sotto il portico, seduti sulle pietre. In lontananza si sentivano auto che salivano, ma nessuno veniva alla nostra volta. Giocammo a immaginare il vescovo, il nostro vicino di tavola, che faceva gli esercizi spirituali con i parrocchiani di Muggia. Una squisita tortura delle anime.

da F.R. Bastide, L’uomo dal desiderio d’amore lontano, Milano, Rizzoli, 1995


Consigli di lettura

– François-Régis Bastide, L’uomo dal desiderio d’amore lontano, Milano, Rizzoli, 1995
– Giosuè Carducci, Odi barbare (1873-89), scarica l’eBook
– Stelio Mattioni, Vita col mare, Milano, Adelphi, 1973
– Pier Paolo Pasolini, La lunga strada di sabbia (1959), Roma, Contrasto, 2014
– Scipio Slataper, Il mio Carso (1912), scarica l’eBook
– Giani Stuparich, Ricordi istriani, Trieste, Edizioni dello Zibaldone, 1961
– Vittorio Vidali, Comandante Carlos, Roma, Editori riuniti, 1983

Percorsi nella letteratura